La storia di Andrea: “In Italia ci hanno impedito di curarlo. In Israele lo hanno salvato”

13.02.2014 00:05

flavia ed andrea lecci“Mio figlio adesso sta molto meglio e lo voglio gridare in faccia a tutti quelli che mi dicevano fosse impossibile che potesse tornare a deglutire e masticare”.

È una “mamma coraggio”, Flavia Lecci, a parlare ed a raccontare il dramma vissuto insieme al suo piccolo Andrea, oggi appena 4 anni e mezzo ed affetto da leucodistrofia di Krabbe.

“Il 14 ottobre siamo andati in Israele ed abbiamo fatto la prima infusione con cellule staminali mesenchimali adulte del Professor Slavin – racconta Flavia -. Io posso dire che per Andrea è stata quasi miracolosa, dopo appena un mese ha iniziato a deglutire ed a masticare. Oggi addirittura mangia la pasta al forno e le lasagne, insomma ha riacquistato ciò che mi dicevano fosse impossibile. Ma non solo, il mio piccolo è molto meno rigido, riesce ad aprire le mani (mentre prima non riusciva affatto); si gira e ti guarda se lo chiami, insomma tanti piccoli miglioramenti”.

Flavia, dopo un inferno vissuto da quando ha scoperto la malattia del piccolo, si è “rimboccata” le maniche e da gran madre e donna, armandosi di coraggio, ha ingoiato tanti “bocconi amari”, fino ai sorrisi della soluzione odierna.

“Un anno fa scoprimmo cosa avesse Andrea e, ancor prima della diagnosi definitiva, iniziammo a prender contatti per poterlo curare. Prima andammo negli Stati Uniti per fare il trapianto di Midollo, lì ci dissero che si potesse fare ma a due condizioni: subito (entro 15 giorni al massimo) ed al costo di un milione di dollari. Così, non potendo concretamente mettere in pratica questa soluzione – racconta Flavia Lecci -, provammo in Olanda. Qui ci chiesero 300 mila euro, ma ci dissero che non Andrea non fosse più idoneo al trapianto e che, da lì a due mesi, avremmo dovuto fargli la gastrostomia e mettere la PEG”.

Tutto fino alla conoscenza con il Professor Vannoni ed il ricorso al Tribunale di Catania, per l’accesso alle cosiddette “cure compassionevoli”. Ricorso rigettato, come tanti – troppi – altri casi.

“A quel punto, pur non dimenticando mai la strada italiana – racconta Flavia, anticipando che fra qualche settimana ci sarà il nuovo ricorso davanti al collegio giudicante etneo -, non potevamo più aspettare. Non posso comprendere come qualcuno possa condannare a morte tuo figlio o togliere la speranza. Io ho incassato il colpo ma non sono rimasta senza far niente, così abbiamo percorso la strada di Israele, la più vicina al metodo del Professor Vannoni per tante ragioni, innanzitutto perché l’infusione non viene fatta per endovena, come nella maggior parte degli altri Paesi al mondo, bensì con la puntura spinale. Per la prima infusione abbiamo pagato 32 mila dollari, ma nessun costo è troppo elevato per la salute di mio figlio”.

Andrea dovrebbe ritornare in Israele, per la seconda infusione, a maggio. “Non si può rifare l’infusione – spiega la mamma del piccolo -, prima di sei mesi e i medici dicono che le cellule abbiano efficacia per quasi un anno. Noi a maggio vorremmo ritornare. Nel caso della seconda infusione, il costo scende dai 32 mila dollari, ai 28 mila”.

La signora Flavia, che vede il figlio addirittura riprendere a sillabare, non si da pace del perché i medici non credano al metodo Stamina. “Io davvero non capisco, al di là di ciò che è visibile ad occhio nudo, noi abbiamo tutti i certificati che attestano i miglioramenti di Andrea. Sono in possesso dei certificati che attestano che mio figlio non masticava, non deglutiva neanche l’acqua. Oggi i medici hanno preso atto dei suoi miglioramenti ma non si spiegano il perché, non volendo riconoscere che la cura con le staminali funzioni”.

Il ragionamento di Flavia continua, una donna che, tenacemente, meriterebbe una laurea “honoris causa” per la capacità descrittiva della malattia e delle cure, frutto della voglia di non arrendersi e documentarsi in proprio, affinchè potesse decidere per il meglio. E quindi esempi e certificati alla mano, esami fatti e rifatti, sino alla considerazione probabilmente più triste ed amara. “La verità è che non sanno dare la risposta ai miglioramenti perché non vogliono ammettere la validità del metodo. Ma io vado avanti, perché per me l’unica cosa che conta è vedere il mio piccolo Andrea vivere normalmente!”.

Flavia ed Andrea, testimoni sulla propria pelle non soltanto della sofferenza riconducibile alla malattia, ma anche dei duri ed incomprensibili “NO”, incarnano la voglia “matta e disperatissima” di lottare per la vita, in una società che troppo spesso liquida tutto brutalmente con la morte.